Il Stâli e il Cjôt

“L’ajer di matine
a è dute midisjne”.

“L’aria di mattina
è tutta medicina”.

La Val d'Incaroio
e gli edifici della vita contadina

Gli edifici rurali caratterizzano l’intero territorio della valle d’Incaroio, dall’interno dei paesi sino ai prati posti alle quote più elevate.

A seconda delle funzioni a cui sono adibiti prendono il nome di stavoli o staipe.

Al di sopra del limite del bosco si trovano invece le malghe, che svolgono la loro preziosa funzione solo nei mesi estivi e che costituiscono un patrimonio di storia e cultura per tutta la montagna carnica.

Nelle vallate della Carnia si rileva una buona concentrazione di stavoli, delle dimensioni più varie: dai più piccoli, con un cjôt in grado di ospitare un unico capo di bestiame, a quelli dei proprietari terrieri benestanti che ne possono contenere anche una decina.

Gli stavoli si diversificano da una zona all’altra per la tipologia costruttiva e per le condizioni di utilizzazione, che dipendono da fattori diversi: i dislivelli e le distanze dal fondovalle o dal centro abitato, la durata della permanenza del bestiame, l’ampiezza del fondo prativo e quindi la quantità di fieno disponibile per il foraggiamento del bestiame.

Il stâli e il cjôt

Gli stavoli (stâlis) sono costruzioni miste in pietra e legno, situate a breve distanza dal paese e utilizzate nel periodi autunno-invernale perché facilmente accessibili anche in occasioni di nevicate abbondanti.

Generalmente sono costituiti da una struttura fuori terra in muratura
(il cjôt), di forma quadrata o rettangolare, cui è sovrapposto un fienile in legno. Quest’ultimo ha quasi sempre una superficie più ampia rispetto a quella del cjôt, e generalmente sporge sulla parete in muratura con la porta di accesso, formando una tettoia protettiva.

Le pareti presentano una o due finestrelle quadrate e l’ingresso è sempre rivolto a valle.

Il fienile soprastante, invece, ha l’ingresso sempre rivolto a monte ed è raggiungibile attraverso una passerella o mediante il naturale pendio del terreno. Nel pavimento del fienile si apre una botola, in corrispondenza del sottostante golâr dove si raccoglie il fieno prima
di distribuirlo nelle mangiatoie.

Negli stavoli lontani dai centri abitati, quelli utilizzati per brevi periodi prima o dopo l’alpeggio del bestiame, la costruzione è più complessa: sotto un unico tetto si ha la stalla e il fienile ai quali, riparata dal prolungamento di uno degli spioventi laterali, si appoggia una modesta abitazione, costituita da una piccola cucina e da una stanzetta per dormire.

Le Staipe

Le staipe, o fienili, sono delle costruzioni interamente in legno appoggiate su uno zoccolo di pietra, oppure sollevate da terra mediante travi di legno. Dopo la falciatura, che avviene in agosto, il fieno viene raccolto temporaneamente nelle staipe per essere trasportato in autunno negli stavoli o nei fienili del paese.

La tipologia costruttiva era condizionata dalle precarie condizioni economiche: i materiali usati erano poveri e di facile reperibilità sul territorio.

Nelle foto in alto:
Alcuni stavoli del passato e del presente nella Val d’Incaroio

Passato e Presente

Le pareti del cjôt erano generalmente in pietra, che garantisce un discreto isolamento termico, consentendo di mantenere temperature accettabili sia nei periodi estivi che invernali.

Il legante utilizzato era una malta molto povera, composta da calce, sabbia e acqua. La parte superiore, il fienile, era invece costruita in tavole di legno proveniente dai numerosi boschi presenti nella valle.

Le essenze utilizzate erano abete rosso e abete bianco, due specie resinose e con un legno adatto a sopportare le intemperie. Nelle pareti del fienile erano presenti delle piccole aperture per facilitare l’essiccamento del fieno, spesso semplici intagli oppure, più raramente, le iniziali a traforo del proprietario, della moglie o l’anno di costruzione dell’edificio.

Il tetto, a due spioventi molti ripidi, era sostenuto da un articolato sistema di capriate in legno a vista.

Per la copertura, in tempi passati venivano utilizzate le scandole (scjandule), tavolette rettangolari in legno tagliate a mano; successivamente si passò all’uso della tipica tegola carnica, anche questa costruita con materiali poveri ma molto resistente alle intemperie.

Un simbolo del duro lavoro di ogni giorno

Il suono delle campane per l’Ave Maria delle 5.30 del mattino segnalava l’inizio della loro giornata lavorativa. Nel gelo dell’alba invernale, riparate da pesanti giacche e calze di lana di pecora, filata e lavorata in casa, strette nello scialle nero, si recavano nelle stalle alla luce del ferâl e con il vogan (recipiente in lamina di alluminio per il trasporto del latte) sulle spalle.

Le mucche e le pecore già aspettavano impazienti l’abbondante razione di fieno, le galline qualche pugno di granoturco. Mentre gli animali mangiavano, le donne asportavano il letame e preparavano i secchi con l’acqua portata la sera precedente nel cjôt dal vicino ruscello perché si intiepidisse. Mungevano e poi, prima di lasciare la stalla, spargevano il frundei (lettiera di foglie secche raccolte in autunno) sull’acciottolato per rendere più gradevole il riposo delle bestie.

Chiusa la porta, non dimenticavano di tracciare con la chiave una croce sopra la toppa della serratura a evocare una benedizione protettiva anche per quella giornata.

Ritornavano alla stalla in serata, al tramonto, per rifare le stesse operazioni. Rincasavano che era già buio, con il ferâl acceso, almeno fino a S. Valentino, quando l’allungamento del dì consentiva di distudâ il lumin, come recita un proverbio. In primavera, dopo aver portato il latte in latteria ed accudito i figlioli, le donne tornavano in campagna: c’era da portare il letame nei campi, da vangare orti e campi, seminare, trapiantare, levare erbacce.

Le stalle della Valle d’Incaroio sono testimoni di un duro lavoro agricolo che interessava soprattutto le donne.

L’agricoltura e l’allevamento del bestiame sono da sempre state le attività primarie per il sostentamento della famiglia.

Gli animali

La mucca (spesso si trattava infatti di un unico capo di bestiame) garantiva il latte e il formaggio, cibi basilari per l’alimentazione. Era legata con una catena di ferro alla trasee, struttura in grosse tavole di legno, modellata con incavi ben levigati che consentivano all’animale di accedere al fieno distribuito al suo interno. Nella stagione fredda, nel cjôt trovavano rifugio gli animali domestici, soprattutto mucche, mentre in primavera, prima di essere trasferite in malga per l’alpeggio, occupavano le stalle a mezza costa, di piccole dimensioni perché destinate ad ospitare gli animali per brevi periodi. Quasi sempre nel cjôt, in opportuni piccoli recinti (sclusitz), convivevano anche una o due pecore e qualche gallina, allevate per ricavarne rispettivamente la lana e qualche uovo. Vi trovavano protezione anche i vitellini appena nati.

La fienagione

In estate, la giornata delle donne era tutta dedicata ai lavori della fienagione, visto che le mucche e le pecore erano salite in malga.

C’era da sfalciare l’erba e distribuirla sul terreno in modo uniforme (spandi las sotz) per favorire la perdita d’acqua durante il giorno.

Bisognava poi rigirarla con il rastrello più volte; l’essicazione non si concludeva in una sola giornata di sole neppure nei periodi più favorevoli. Al tramonto, l’erba veniva raccolta in piccoli cumuli (cavoj) oppure messa su pali di legno ricavati dalle cime di abeti rossi.

Quando l’essiccazione era completa, il fieno veniva raccolto in grossi fasci legati strettamente con una fune (saulin) fissata attorno ad un gancio in legno, spesso finemente lavorato.

Sollevati sul capo, con l’aiuto della pendenza e di qualche sforzo dei figlioli più grandi, i fasci venivano portati nel fienile; qui venivano slegati e i bambini si divertivano ad accumulare grosse bracciate sulla gjone, un deposito strutturato del fieno pressato e ben sagomato sulle pareti. Nei prati permanenti alle quote più elevate il fieno veniva stipato nelle staipe, quando c’erano, oppure accumulato e sapientemente pressato nella mede, costruita da mani esperte attorno a dei pali.

Solo quando il terreno ghiacciato del tardo autunno o dei periodi invernali lo avesse consentito, il fieno veniva portato a valle su slitte (logjes) che solo le forti braccia dei mariti rientrati dal lavoro stagionale sapevano condurre a valle.

Nonostante i materiali poveri usati, la struttura architettonica degli stavoli era molto solida, precisa e a volte elaborata.

Gli Stavoli, oggi

A ulteriore testimonianza dell’abilità con cui questi edifici sono stati costruiti, sono numerosi gli stavoli ancora presenti sul territorio della Val d’Incaroio.

Oggi però ben pochi vengono utilizzati per gli scopi originari, e sono adibiti quali magazzini o deposito attrezzi.

È da notare, inoltre, che molti edifici rurali sono stati trasformati in abitazioni, a dimostrazione di radicali cambiamenti nel tessuto socio economico della vallata.

Diu nus vuardi
da un bon genâr
par podê emplâ
il solâr

“Dio ci preservi
da un buon gennaio
per poter riempire
il granaio”.