IL MULINÂR

Il mugnaio

I MULÎNS

I mulini

Un tempo nella valle erano presenti ben 28 mulini, oggi ne rimangono soltanto due: il mulino “Sot Pisciante”, situato in una posizione davvero suggestiva e ancora funzionante, grazie all’acqua della cascata di Salino, e il “Mulin da Fritule”, risalente al 1760, nel Borgo Rio di Sotto.

Questo mulino non è più funzionante dopo l’alluvione del 1983, che ha spostato a valle la roggia che lo alimentava. I mulini costituiscono una viva testimonianza di una cultura antica: per la loro natura rappresentavano una infrastruttura indispensabile nel tempo in cui gli abitanti vivevano quasi esclusivamente della rendita agricola, e la vita e le attività intorno al mulino costituivano un’importante aspetto del vissuto quotidiano. 

Il mulino, per la sua grande capacità evocatrice di uomini e vicende rappresenta un luogo ideale della memoria.

Il mulinâr

Il mugnaio era una figura di spicco della collettività, in una posizione socialmente e culturalmente superiore, perché era a suo modo una persona colta, uno dei pochi a saper leggere e scrivere. Proprio il fatto di poter acquisire e diffondere nuove idee lo elevava al disopra della massa dei contadini analfabeti. In tempi passati il lavoro dei campi era quello che assorbiva la gran parte della popolazione, questo certo non favoriva i contatti e gli scambi culturali tra la gente. Il mugnaio invece si trovava tutti i giorni a contatto con altre persone, e questo favoriva lo svilupparsi della scaltrezza. L’arte del mugnaio o “arte bianca”, era davvero molto particolare. Non a caso viene definita arte in luogo di mestiere.

Il sapere del mugnaio

Per fare il mugnaio era necessario possedere tutta una serie di competenze nei campi più diversi. Naturalmente la sua giornata, che cominciava di buon mattino, era prevalentemente occupata dalle operazioni di pesatura dei sacchi di granaglie portati dai contadini e dalla seguente macinazione, ma c’erano molti altri compiti che egli doveva svolgere. Innanzitutto infatti doveva conoscere e gestire il gioco e la forza delle acque sulle pale della grande ruota che fa girare le macine attraverso un meccanismo di ingranaggi e di cinghie di trasmissione. Il mugnaio doveva inoltre “ribattere le macine” ossia ravvivare i solchi sulle facciate interne della ruota, utilizzando particolari strumenti come la “bocciarda” e la “picozza”. Infine, nei periodi di piena del Torrente Chiarsò, la forza bruta delle inondazioni causava gravi danni alla roggia, e quindi si trovava a dover far fronte a degli interventi di manutenzione sull’intera struttura del mulino.

“Si cambie il mulinâr, ma no il mulin”
Si cambia mugnaio, ma non mulino.

Far farina e farla bene

Il mugnaio esprimeva tutta la sua arte nel momento della trasformazione delle granaglie in farina. La fase della molitura richiedeva alcune attenzioni davvero particolari, come la regolazione della distanza intercorrente fra le due macine, che permetteva di ottenere una farina della finezza voluta: il mugnaio immergeva la mano sotto il flusso in uscita del macinato per “sentire la farina e agiva di conseguenza sul meccanismo di regolazione delle macine. 

La farina doveva essere molto morbida al tatto: riempiendo il pugno di farina e stringendo leggermente, si doveva avere una sensazione simile a quella provocata dalla stretta di una manciata di neve.

Il Mulino, com'è fatto

Invenzione antica, il mulino ad acqua si è largamente diffuso solo nel Medioevo. Un congegno semplicemente costituito da legno, pietra e cuoio. Legno per intelaiatura ed ingranaggi delle ruote; pietre per la macina; cuoio per le cinghie di trasmissione. La tecnologia più antica utilizzata per macinare è a ruota orizzontale, dove la trasmissione del moto attraverso l’albero verticale era diretta. Questa tecnologia verrà poi soppiantata dal mulino a ruota verticale che permette, grazie all’utilizzo degli ingranaggi detti “ruota dentata”, la moltiplicazione dei giri ed anche il passaggio del movimento di rotazione da verticale nella ruota ad orizzontale nella mola. Il meccanismo a ruota o lubecchi è posto sotto il palco e presenta una serie di denti in legno di particolare forma e sezione adatti ad innestarsi alla corrispondente ruota che riceve il moto. Il fulcro della ruota è l’albero o albero motore in quanto, oltre a fare da perno per la ruota di forza, trasmette il movimento agli ingranaggi; i bracci della ruota sono le assi di collegamento e trasmissione della forza delle corone delle pale all’albero; le corone sono la base di appoggio e sostegno delle pale; le pale sono le asticelle trasversali innestate sulle corone adatte a sopportare la spinta dell’acqua. In montagna veniva sfruttata la velocità d’impatto dell’acqua: la ruota è relativamente piccola, la corona e l’albero robusti e pesanti anche per conservare una maggiore inerzia, le palette innestate direttamente sulla corona per permettere una facile sostituzione.

Aghe pasade no masine plui.
“Acqua passata non macina più”

Un motore ad acqua

Il nostro territorio ha conosciuto una notevole crescita proprio in seguito alla regimentazione delle acque ed alla formazione di una rete idrica in grado di garantire acqua corrente la cui forza potesse supportare l’attività dei mulini. L’abbondanza di acqua era il carburante del tempo e i meccanismi del mulino il motore capace di trasformare quella forza in energie per migliorare la vita della collettività.

Per il buon funzionamento del mulino era di fondamentale importanza catturare la quantità d’acqua giusta e il più possibile con portata costante. A questo scopo veniva utilizzata la paratoia, che tramite un meccanismo di leva permetteva di regolare la quantità di acqua da far convogliare nella canaletta. Un altro tipo di regolazione della portata dell’acqua era la serranda; posta nella parte finale della canaletta immediatamente al di sopra delle ruota, era azionata da un meccanismo a leva manovrabile direttamente dall’interno dell’opificio. Con il canale di scarico , il proseguimento della roggia, si permetteva lo sfogo dell’acqua dalle pale al torrente, restituendogli l’acqua prelevata per il lavoro.

Il mulino, come funziona

Il processo di lavorazione inizia dalla tramoggia, elemento di legno a forma tronco-piramidale capovolta che termina con un regolatore, una specie di imbuto per dosare la quantità di grano da far affluire alla mola. Il centro dell’attività del mulino è costituito dal movimento della macina, pesante pietra che con moto rotatorio svolge la funzione di triturare e macinare. La sua rotazione avviene grazie ad un efficace sistema di ingranaggi che trasmettono il moto dalla ruota esterna fino alla macina. La macina è formata da due mole o palmenti, quella inferiore poggia sul pavimento, quella superiore gira azionata dall’albero. Le macine sono coperte da una veste di legno, indispensabile per mantenere unita e accompagnare la farina che, altrimenti, uscendo dagli estremi delle macine si spargerebbe tutta intorno. Per avvertire il mugnaio che ha macinato tutto il grano, un pezzo di ferro viene appeso ad una corda dentro la tramoggia stessa. Esso viene messo sulla superficie superiore del grano e discende mano a mano che questo si consuma. Giunto al fondo del recipiente, quando il grano non lo sostiene più, cade nella macchina mobile generando uno scampanio e avvertendo così il mugnaio che il mulino gira a vuoto.

Legenda disegno: A – A1 Asse di supporto D Ruota dentata F Asse verticale  I Ingranaggio M Macina fissa M1 Macina mobile

Il Mulin da Fritule

Da ricerche storiche, il “Mulin da Fritule”, risale al 1760. Situato nel borgo di Rio di Sotto, era un tempo uno dei mulini più produttivi.  Si tratta di un edificio solido, adatto a sopportare il peso dei macchinari, chiuso da muri robusti che dovevano resistere alle sollecitudini della corrente e alla spinta del terreno. In particolare, questo mulino utilizzava ben due macine: la prima per il granoturco, utilizzato dalla popolazione per la produzione della polenta (la pietanza più diffusa all’epoca), la seconda per la macina dello spezzato per alimentare gli animali. Nei periodi invernali, da ottobre ad aprile, i turni al mulino erano maggiori rispetto all’intero anno. Questo era dovuto al fatto che il bestiame rientrava dalle malghe e dunque la richiesta di spezzato era maggiore, perciò molte volte il mulino lavorava anche di notte. Il mulino era alimentato dalle acque del torrente Chiarsò attraverso una roggia o presa, costruita a monte. In questo caso particolare, una parte di essa, chiamata “Vagn”, era sopraelevata e costruita in legno e serviva ad alimentare la canaletta di trasporto dell’acqua verso le ruote. Il “Mulin da Fritule” non è più funzionante dopo l’alluvione del 1983, che ha trascinato a valle la roggia che lo alimentava. Il mulino non conserva più le ruote esterne ma, al suo interno, ha mantenuto intatti la struttura di macinazione e gli strumenti da lavoro originali: sono infatti ben visibili il palmento e la tramoggia in legno con il tavolo di appoggio per il setaccio. Il lubecchio, che serve per trasmettere il movimento dalla ruota idraulica al rocchetto, è in legno, mentre la ruota che trasmette il movimento all’albero verticale per la macina è in ferro. L’interno del mulino è intonacato e i piani per raggiungere la zona dove si macina sono in pietra.

Storia di un antico mulino