LA FEMENÀTE

Un’emozione che si accende ogni anno

Non il solito falò, ma un enorme rombo infuocato, alto talora più di 15 metri, che riscalda i cuori della Val d’Incaroio la sera del 5 gennaio.

Uno spettacolo davvero suggestivo che offre un colpo d’occhio straordinario, con decine di Femenàtes, una per ogni borgata, che una dopo l’altra illuminano l’intera valle di Incaroio.

“Nodâl, un pît di gjal,
prim da l’an un pît di cjan,
Epifanie un pît di strie”.


“ Natale, un passo di gallo,
primo dell’anno un passo di cane,
Epifania un passo di strega”.

UNA STORICA
TRADIZIONE

La Femenàte è una tradizione molto sentita nella Val d’Incaroio, alla quale partecipano quasi tutte le frazioni del Comune, e rappresenta uno degli spettacoli più suggestivi legati ad antiche ritualità.

Fa parte di quella serie di riti epifanici che tra il 5 e 6 gennaio si svolgono dai monti alla pianura in tutto il Friuli.

Il solstizio invernale è appena trascorso con le sue lunghe notti.

Dopo la raccolta autunnale dei frutti della terra, nei campi restano sempre abbandonate stoppie e residui della vegetazione che rappresentano gli scarti del ciclo agrario.

La loro raccolta ed eliminazione è premessa indispensabile alla ripresa vegetativa, alle semine e alla nuova produzione agraria. I fuochi epifanici erano – e nella cultura popolare rurale continuano ad essere – riti di fine di un ciclo ed inizio del nuovo.

Il nome “Femenàte”, donnaccia o strega, si riferisce alle caratteristiche negative idealmente racchiuse nel grande fantoccio bruciato il giorno precedente l’Epifania.

La scelta di un essere femminile è dovuta anche all’antica convinzione che l’uomo è essere solare, mentre la donna, per le sue caratteristiche è un essere lunare, quindi in connessione con i poteri e con le forze segrete della fertilità.

La preparazione

Com’è fatta

La Femenàte è costituita da una intelaiatura romboidale, alta fino a 15 metri, fatta con stanghe di abete fissate con chiodi. È sostenuta da una pertica di abete sufficientemente lunga e piantata nel terreno ed è rivestita di ramaglie e fogliame secchi. Il rombo della struttura può essere interrotto ad intervalli regolari da pertiche più sottili inchiodate a quella portante per consentire, il giorno destinato alla festa, di sostenere una grande quantità di fieno, stoppie di granoturco, viticci secchi delle piante di fagiolo, ramaglie secche e tutti i materiali vegetali di scarto lasciati sui campi o accatastati in prossimità delle stalle.

L’attesa

È ancora mattina quando si comincia ad allestire la Femenàte sul terreno; solo nel pomeriggio sarà sollevata in posizione verticale, tramite funi e con l’impegno di molte persone. Si comincia verso le 3 del pomeriggio, in coincidenza con la funzione religiosa della benedizione dell’acqua e del sale. Si tratta di un’operazione da eseguirsi con la massima attenzione; è vietato l’utilizzo di mezzi meccanici, e viene realizzata con l’ausilio di diverse scale e la perizia delle persone, guidate da un esperto che dà il ritmo a tutti i movimenti. Dopo essersi assicurati della stabilità della struttura, inizia l’attesa dell’imbrunire, in un silenzio irreale. Mentre scende la notte, qualcuno rimane di guardia per evitare scherzi, frequenti in passato, da parte dei giovani delle frazioni rivali.

L’accensione

Quando il tramonto ha spento i suoi ultimi bagliori in cielo, la popolazione delle borgate si riunisce a cerchio attorno alla Femenàte e resta in attesa che l’incaricato (solitamente un giovane scelto fra quelli dell’ultima coscrizione) proceda ad incendiarla con un ramo precedentemente acceso in un fuoco attizzato nelle vicinanze.

Mentre le fiamme si propagano, salendo al cielo con lingue serpeggianti e rosse, il “vecchio saggio” legge auspici e previsioni per l’anno nuovo scrutando negli sciami delle faville che si liberano nell’aria.

La festa

Spenta l’ultima favilla e sepolte le poche braci ancora accese ai piedi della Femenàte, i giovani delle frazioni, muniti di gerle e cesti, iniziano a bussare a tutte le abitazioni del borgo per la richiesta della farine das lausjignes (la farina delle faville); di casa in casa si chiede farina da polenta ma anche formaggio, salsicce e altri prodotti derivati dalla uccisione del maiale (quasi sempre effettuata nel periodo).

I ragazzi annunciano il loro arrivo intonando una tradizionale filastrocca:

Bine sere parunzine
nus dàiso la farine,
la farine das lausjignes?
Veiso maçiât il temporâl?
S’a no lu veis maçiâ lu maçareis
cuince e luànies plui ca podéis.

Buona sera padroncina
ci date la farina
la farina delle faville?
Avete ammazzato il maiale?
Se non lo avete ammazzato,
lo ammazzerete,
grasso e salsiccia più che potete.

Dopo aver raccolto l’offerta, accompagnata sempre da allegre battute, il gruppo esce intonando la filastrocca di ringraziamento:

Bine not e grazie
tornarin un âti an
sperin ca nus detiso
come chest an.

Buona notte e grazie Ritorneremo il prossimo anno Speriamo che ci diate come quest’anno

O, in caso di offerte ritenute insufficienti:

plui di chest an.

 più di quest’anno.

 

Con questa allegra questua vengono raccolti i contributi per una cena collettiva, riservata a tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione dell’antico cerimoniale. Tutte le offerte vengono portate in un capannone allestito per l’occasione dove si procede alla preparazione della polenta e delle salsicce.

Passato e Presente

In passato la Femenàte veniva bruciata tradizionalmente a Casaso, verso le ore 20. I coscritti della frazione, accompagnati da un complesso musicale, si avviavano con le torce verso il luogo dove era innalzata la Femenàte.

Dopo il tocco dell’Ave Maria, veniva loro riservato il privilegio di dar fuoco al fantoccio, in un’atmosfera festosa, allietata dalla musica, dai canti e da scoppi di petardi.

Tutti i presenti seguivano con attenzione l’andamento del fumo e delle faville per trarvi le previsioni sull’anno nuovo. Tutto si concludeva nell’allegria della cena collettiva, accompagnata dalle abbondanti bevute, che terminava a notte fonda.

Da qualche anno la tradizione si è estesa a tutte le altre frazioni. Così la sera del 5 gennaio, a partire dalle 18, la Valle d’Incaroio è tutto uno sfavillio di roghi: in successione, bruciano le Femenàtes di Ravinis, Misincinis, Cogliat, Villafuori, Villamezzo, Via Piave, Cuelalt, Via Roma, Casaso e Dierico.

In quest’ultimo paese, fino a poco tempo fa, non si accendevano fuochi, ma i ragazzi del paese si recavano nei campi per aspergerli con l’acqua benedetta. Passavano poi nelle famiglie, le informavano di avere “trat las lausjignes” sui campi di loro appartenenza e ne ricevevano una ricompensa in generi alimentari.

I riti collegati alla Femenàte variano da frazione a frazione, senza però mai perdere di vista il significato originario della tradizione, in un suggestivo incrocio tra realtà e magia, tra religione e credenze popolari.

Cuant che las
lausjignes a van a
soreli jevâ
tol il sac e va
al mercjâ,

Cuant che las
lausjignes as van a
tramont
tol il sac e va
pal mont.


“Quando le faville
si dirigono verso levante,
prendi il sacco e vai al mercato
(previsione di raccolto abbondate)

quando le faville vanno
verso ponente prendi il sacco
e vai in giro per il mondo“.
(a cercare lavoro)