Foto storica con due soggetti che portano fieno, Paularo sullo sfondo

Il nome Paularo compare per la prima volta in un documento del 1295 (de Paular de Canali di Incaroy), ma chi vuol scoprire la storia dell’uomo nella valle d’Incaroio deve risalire a origini più remote. Basti pensare che nella zona del passo del Cason di Lanza sono stati trovati oggetti in selce risalenti al Mesolitico recente (5500-4500 a.C. circa): segni lasciati dai cacciatori che salivano in cerca di prede fin oltre i 1.500 m di altitudine.

Furono però i Gallo Carni, popolazioni celtiche transalpine, a lasciare la prima testimonianza rilevante in questi luoghi; nella frazione Misincinis si può infatti ammirare una importante necropoli risalente a circa 2.600 anni fa e composta da ben 145 tombe. Al loro interno erano custoditi oltre 800 oggetti: spilloni, ganci di cintura, pendagli, coltelli in ferro a dorso ricurvo e riccamente ornato. Tra questi reperti spicca una fibula particolare, decorata a cerchielli, unica nel suo genere e per questo battezzata “Paularo” dagli esperti.

Al tempo dei romani, la valle d’Incaroio costituiva una preziosa zonadi pascolo per le guarnigioni dislocate a Zuglio (Forum Iulium Carnicum); è una presenza di cui ci restano però poche tracce: una tomba rinvenuta a Misincinis e i resti di una strada lastricata nella località Chiastilirs, nei pressi di Dierico. Dall’epoca romana fino al XIII secolo per Paularo fu un periodo silenzioso. Le poche e rarefatte notizie sulla storia del paese ci giungono dagli archivi della chiesa locale.

Tutto cambiò con l’avvento della Repubblica di Venezia, che nelle vallate alpine scoprì risorse utili per consolidare la sua grandezza. Dopo essersi assicurata tutte le querce di pianura per alimentare i suoi cantieri navali, Venezia nei boschi alpini trovò le grandi quantità di piante resinose necessarie per creare le piattaforme che sostenevano sul mare i suoi maestosi palazzi e le sue grandiose chiese.

Nel contempo, si preoccupò di rendere stabili i versanti montani per garantire la sicurezza della laguna e quindi della città, e sviluppò la tecnica della fluitazione per il trasporto a valle di una grande quantità di tronchi. Successivamente il legname, allestito in zattere, poteva giungere fino a Venezia attraverso le vie d’acqua principali.

Fu un periodo di grande fermento per l’economia locale, con un notevole sviluppo dell’edilizia, delle botteghe artigiane e dell’agricoltura, con l’introduzione di nuove specie vegetali come la patata, il fagiolo e il mais. Dopo il 1797, con il passaggio della Carnia e del Friuli all’Impero asburgico, la vallata intera conobbe un periodo di inevitabile declino. L’annessione al Regno d’Italia risale al 1866. Da allora la valle d’Incaroio ha conosciuto l’insorgenza delle nuove borghesie terriere che acquistavano a basso costo i beni della Chiesa, i flussi migratori stagionali che fino a tempi recenti hanno coinvolto la maggior parte dei lavoratori maschi, le guerre mondiali, il fascismo, la lotta partigiana, nonché catastrofi naturali come terremoti e alluvioni che la comunità ha sempre saputo superare con successo.

Tra le testimonianze della storia recente si possono annoverare le fortificazioni della Grande Guerra: avventurandosi sui monti Zermula e Pizzul ci si trova di fronte una poderosa rete quasi ininterrotta di trincee, gallerie, depositi di armi e munizioni e altre imponenti strutture, come la fortezza situata in località Buse da gjaline, in grado di affascinare ancor oggi il visitatore.